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Riflessioni di Massimo Raffaeli

 

Massimo Raffaeli-1Riflessioni di Massimo Raffaeli.

 

Considerazioni sulla morte, quella fisica e quella morale, e sulla vita.

Forse è opportuno riflettere da cosa nasce questo pensiero che mi fa vedere un grosso punto interrogativo sul futuro; quarant’anni passati a contatto quotidiano con la malattia, quella grave che ti strappa improvvisamente dalla tua vita di tutti i giorni, che ti proietta in un mondo irreale dove non esiste più il tempo, la luce del sole o il buio della notte ma solo la luce artificiale 24 ore su 24, dove le macchine scandiscono momento per momento la sopravvivenza dell’individuo o il suo avviarsi inesorabilmente verso la morte, non sono uno scherzo da niente. Forse  occorrerebbe un Dr Freud personale per non andare incontro ad alterazioni psicologiche pesanti; e poi quello che ti pesa di più sul cuore è l’angoscia e l’ansia degli altri, di quelli che sono fuori della porta e aspettano una notizia che li sollevi dalla paura di perdere qualcuno che amano e che è uscito all’improvviso dalle loro esistenze e forse non tornerà più indietro; e quando non puoi dare la notizia che tutti vorrebbero sentire allora ti aggrappi all’esperienza, cerchi di propinare qualche informazione generica che non sia una vera e propria menzogna, fino a che arrivi ad un certo punto della tua vita professionale e ti rendi conto che la verità, per quanto cruda e brutale possa sembrare è meglio di qualunque comunicazione “medicata” e spesso ti offre la possibilità di rapportarti con le persone in un modo completamente diverso senza schermi o maschere.

Parlare di morte o più in generale della morte come fenomeno naturale non è mai stato facile anche per noi medici,Articolo Massimo Riflessioni spesso infarciti di uno scellerato senso di onnipotenza; forse la paura di poter essere un giorno dall’altra parte della “barricata” è ciò che genera un silenzio innaturale, quasi assordante nella sua omertosa condivisione.

Fin qui la riflessione, forse un po’ banale, riguarda la morte come fenomeno fisico, la fine della vita in senso biologico del termine. Con il passare del tempo, però, ho cominciato ad osservare un fenomeno che definirei la morte dello spirito, o se volete una sorta di morte “morale”, che non ha un legame necessariamente diretto con la fine della vita fisica, anzi spesso la precede di gran lunga nel tempo e che non riguarda necessariamente individui “di una certa età”, per esempio quelli che come il sottoscritto sono arrivati alla fine di un certo percorso (tanto per intenderci la pensione).

Intorno a me ho osservato da un certo tempo una caduta dei valori, delle motivazioni, delle spinte vitali, del dispendio delle energie (in senso positivo) anche da parte di individui molto più giovani di me, persino di una generazione più giovane! E qui la mia riflessione arriva al secondo punto: la vita.

Appunto, ma su quale vita vogliamo riflettere? Quella artificiosa dettata dai “valori” della nostra società contemporanea che ci invita quotidianamente a spegnere il cervello, a perdere qualunque idea personale che non sia dettata da un social, inquinata all’inverosimile dalla tecnologia che ci fa scambiare ogni giorno di più il fine con i mezzi?

Qualche mese fa ho partecipato ad una festa organizzata per “salutare” un collega che andava in pensione: serata allegra ma non troppo; la parola d’ordine era “beato lui che ha finito….!”, e un profluvio di luoghi comuni da riempire un TIR.

Era presente tra noi il nostro vecchio primario, ormai “in pensione” da più di 15 anni; eppure dai suoi occhi emanava una vitalità straordinaria, gli si leggeva dentro ancora lo stesso fuoco che lo animava quando lo conobbi 40 anni fa. Un “ragazzo” di 86 anni che ha sempre avuto delle visioni nella sua vita, e che ha tenacemente perseguito anche dopo essere stato letteralmente costretto ad andarsene dall’ospedale per raggiunti limiti di età. Ecco, io credo che la “vita” debba essere immaginata, vissuta e perseguita così, come un fuoco da alimentare ogni giorno; solo così si può evitare di “morire” prima del tempo.

Alla fine di queste riflessioni un po’ sconclusionate vorrei citare un pensiero di Steve Jobs che, estrapolato da un contesto specifico, assume un valore universale.

“L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare ciò che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena ce l’avrai davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio con il passare degli anni. Quindi continua a cercare finché on lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato, sii folle.